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Come si è evoluto l’approccio all’educazione e all’allevamento del bambino

 

CENNI STORICI

In Europa, fino al diciottesimo secolo, il modo di allevare ed educare figli era molto diverso da come è diventato ai giorni nostri.  Nei secoli precedenti la storia dell'infanzia è una continua successione di gravi abusi nei confronti dei bambini, mai considerati come persone, ritenuti sempre cose di proprietà dei genitori, pensati come materiale informe da plasmare con ogni mezzo in funzione di un modello precostituito dall'adulto.

Se però molte consuetudini sono ormai superate e, per fortuna, almeno in parte, sono state abbandonate, alcune di esse resistono ancora e sono dannose per il benessere psicofisico ed emotivo del bambino.  Agli inizi del '900 la considerazione di questa età della vita è radicalmente mutata e sono stati riconosciuti i diritti dei bambini al pieno e armonico sviluppo della personalità.

Fondamentale è stato l'apporto delle scienze umane, pedagogia, psicologia e sociologia, che hanno posto l'accento sul fatto che anche il bambino è una persona umana, con caratteristiche peculiari che devono essere riconosciute e non violentate, e in quanto tale portatore di diritti che devono essere non solo rispettati, ma anche concretamente attuati.

Un po' di storia…

Nell'antichità classica si vedeva nel bambino un uomo immaturo e imperfetto, privo di dignità e di finalità proprie; di conseguenza il ruolo dell'educatore doveva fondarsi sull'autoritarismo e sulla disciplina oppressiva.

L'uccisione dei bambini era largamente praticata e Licurgo affidò agli anziani il diritto di decidere della vita e della morte dei bambini (i neonati deboli o malformati venivano uccisi perché inutili alla patria).

Solo qualche eccezione si distanzia dalla prassi comune, come Quintiliano che nell'Istituzione Oratoria, riconoscendo al bambino una propria individualità, elabora una teoria dell'educazione estremamente avanzata rispetto al suo tempo.

La situazione dell'infanzia non muta sostanzialmente nelle epoche storiche successive.

Nell'Umanesimo e nel Rinascimento si ritorna alla tradizione di Quintiliano e si sostiene che non si deve subordinare la natura del bambino alle esigenze dell'educazione, ma al contrario modellare la scienza dell'educazione alle esigenze e ai bisogni del bambino.

Nel pensiero pedagogico di J.J. Rousseau questa intuizione trova piena esplicazione. Per il pedagogista svizzero, il bambino deve essere al centro del sistema educativo e deve essere studiato ed esaminato prima che educato. Egli fu il primo a darci un saggio geniale di descrizione delle tappe che percorre il bambino dalla nascita alla adolescenza, osservando lo sviluppo interno delle facoltà del soggetto.

Tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo, alcuni filosofi come KantHerbartRosmini, evidenziano la necessità di rispettare i diritti e la libertà del bambino, ma le loro idee restano pura teoria senza riuscire ad incidere sulla condizione dell'infanzia, né a migliorarla.

Un dato appare emblematico delle drammatiche condizioni in cui vivevano i bambini in quell'epoca: la elevata mortalità infantile.

Nel 1850 la mappa della mortalità dei neonati al di sotto di un anno era assai diversificata da paese a paese a causa delle differenze profonde di atteggiamento verso il bambino e del diverso valore dato alla conservazione della vita umana.

Tale fenomeno era dovuto non solo a precarie condizioni igieniche, ad una alimentazione inadeguata e a cure mediche inefficaci, ma anche ad una precisa volontà di provocare quella mortalità. Molti decessi di lattanti erano consapevolmente causati dai genitori, impossibilitati da gravi condizioni d'indigenza a nutrire una famiglia numerosa.

Il massiccio ricorso delle famiglie borghesi all'assegnazione del bambino a balia, faceva lievitare il tasso di mortalità perché le nutrici, ignoranti delle basilari regole d'igiene, non controllate e mal remunerate, non potevano assicurare quelle cure che avrebbero potuto evitare la morte ai bambini loro affidati.

Significativo è anche il fenomeno dell'abbandono dei figli; i dati raccolti in Francia ci parlano di una media annuale di trovatelli pari al 2% delle nascite.

Anche nel resto d'Europa la morte infierisce sui lattanti con la stessa intensità.

Egualmente notevoli erano le sofferenze inflitte ai bambini, spesso senza alcuna ragione, nella convinzione che i sistemi educativi autoritari e violenti temprassero il carattere e rafforzassero la personalità.

Anche a scuola il metodo educativo si basava sulle punizioni fisiche: nelle scuole inglesi era prevista la figura del "flagellante", addetto alle punizioni fisiche degli allievi.

Nelle classi meno abbienti lo sfruttamento disumano del bambino nel lavoro dei campi o negli opifici era una drammatica realtà.

Nelle campagne i bambini erano avviati al lavoro fin dall'età di 6-7 anni; in alcune zone dell'Inghilterra del XVII secolo era frequente che molte bambine di 5-6 anni lavorassero come schiave a fabbricare oggetti di paglia o ricamare merletti.

Nelle fabbriche di cotone degli Stati Uniti nel 1830 il 20% della manodopera era rappresentato da bambini inferiori ai 12 anni.

Molti studi storici dimostrano come lo sviluppo capitalistico sia stato in gran parte realizzato col massiccio sfruttamento del lavoro minorile.

E' anche da sottolineare come la legislazione, che non tutelava in alcun modo il ragazzo dagli abusi degli adulti, era terribilmente severa e punitiva nei confronti dei ragazzi trattati come criminali anche per piccole mancanze e rinchiusi in istituti di rieducazione.

In realtà, fino al XX secolo la società ha mostrato una grandissima indifferenza nei confronti dell'infanzia, spesso concepita come peso inutile o come oggetto di proprietà dell'adulto.

 Sin dagli inizi del XX secolo la considerazione dell'infanzia muta radicalmente e vengono riconosciuti i diritti dei bambini al soddisfacimento dei bisogni primari ed allo sviluppo integrale della personalità.

Il dato più importante da evidenziare è il significativo decremento della mortalità infantile dovuto essenzialmente ai decisivi progressi della scienza medica.

 Per quanto riguarda la scuola, la cultura dell'infanzia del '900 continua ed accentua l'impegno ad una scolarizzazione sempre più estesa e perfezionata, già avviato nel secolo scorso.

Accanto alle "scuole nuove " sorte tra la fine dell'800 e gli inizi del '900, dove si attuano contenuti di studio più aggiornati e modalità di vita meno ritualizzate, in cui si intrecciano studio e gioco, esistono, e sono la maggior parte, edifici antichi e inadeguati in cui il bambino vive una lunga giornata scolastica in aule sovraffollate, costretto tra il banco e la cattedra senza poter realizzare la sua creatività.

Nel periodo tra le due guerre nasce una nuova istituzione extra-domestica con lo scopo di aiutare le madri che lavorano e che sono in condizioni di bisogno economico: l'asilo nido.

Dagli anni '50 agli anni '80, epoca di ulteriore calo della mortalità, di modificazione della struttura familiare e di aumento del lavoro femminile, si diffonde una nuova immagine della primissima infanzia e si elaborano nuovi sistemi educativi.

Le numerose ricerche in ambito psico-pedagogico sostengono che la personalità e l'intelligenza si sviluppano nei primissimi anni di vita e ribadiscono la necessità di una educazione compensatoria precoce per i bambini di classi socialmente e culturalmente svantaggiate.

Cominciano ad avvertirsi come primarie le esigenze del bambino, ora considerato come soggetto che vive nel mondo sin dalla nascita e che organizza la sua esperienza cercando di farsi comprendere.

Si creano nuovi settori del lavoro e delle professioni legati a questi nuovi soggetti prima poco osservati: neuro-psichiatri infantili, pediatri, psicologi. L'infanzia viene vista come periodo che dalla nascita all'età adulta si evolve attraverso fasi diverse e quindi degna di essere formata ed educata.

 

IL NOVECENTO SECOLO DELL'INFANZIA?

Le leggi e le grandi affermazioni verbali sui diritti della persona umana e quindi del bambino e la comune diffusa coscienza che anche l'infanzia va rispettata e protetta, non impediscono che ancor oggi, nel "secolo dell'infanzia", sia presente nel tessuto sociale una violenza diffusa che credevamo tipica di epoche passate.

A ciò vanno aggiunte le sofferenze causate ai bambini dai conflitti armati che sempre più numerosi e spesso dimenticati caratterizzano il nostro tempo. Aggiungiamo a queste tristi consuetudini, lo sfruttamento minorile nel mondo del lavoro, il commercio di feti umani per il comparto della farmacologia e della cosmetica, il trattamento dei bimbi sani come “pezzi di ricambio” per altri bambini  sani ma ricchi; la piaga dilagante della pedofilia, dello sfruttamento  dei bimbi nel mondo della pornografia e così via.

Come possiamo evincere, i condizionamenti sociali e le cattive abitudini possono resistere al tempo e alle leggi, quindi vorremmo offrire alcuni spunti alle future e alle neo mamme, per approcciare in modo completamente diverso la nascita e i primi mesi del proprio figlio.

Oggi molte cose sono cambiate, pur con nuove e vecchie criticità; resta il fatto che ognuno di noi ha introiettato il proprio modello educativo, partendo dalla propria storia personale. Sta quindi ad ognuno di noi trovare il modo di superare quel modello, per trovare il nostro modo “unico” di rapportarci alla maternità/paternità. Tocca a ognuno di noi evolvere e crescere per poter dare ai nostri figli quello di cui hanno bisogno, andando innanzitutto a guarire prima le nostre ferite, per non influenzare e addossare ai figli responsabilità che non gli appartengono, diventando adulti che possano essere punti di riferimento validi: “solo un adulto consapevole può portare alla consapevolezza il proprio figlio”.

“Tutti gli adulti sono nati per essere genitori felici, solo che la maggior parte di noi non lo sa e pensa sia una roba complicata o da mission impossible.

Per chi di noi ha già vissuto l’esperienza di essere genitore, è più facile confrontare le varie fasi attraverso cui siamo passati e farne una valutazione obiettiva, fermo restando che ognuno di noi ha agito come meglio poteva, con gli strumenti a disposizione.

Per coloro che devono ancora vivere questa esperienza,  proveremo a offrire qualche spunto, basandoci su esperienze di persone che lavorano nel campo educativo e si approcciano ogni giorno alle difficoltà ma anche alle gioie che vengono da questa relazione così fondamentale per lo sviluppo armonioso di ogni persona.

Oggigiorno le strutture ospedaliere ci offrono tutte le nuove tecnologie per affrontare il parto in modo sicuro. Contemporaneamente, però, si va evidenziando un ritorno al parto in casa, come una richiesta di intimità e di recupero della sacralità di questo evento. Già da tempo, i genitori possono scegliere un “parto senza violenza”, sia a casa che in alcune realtà che offrono alla neomamma la possibilità di partorire e vivere i primi momenti con il loro bambino in modo più intimo, meno asettico, improntato alle antiche usanze che promuovevano una ritualità più a misura di madre, più rispettosa dei naturali cicli della vita e dei bisogni sempre diversi di ogni donna, per iniziare la sua relazione con il figlio. Oggi possiamo dunque scegliere consapevolmente come far venire al mondo nostro figlio.

Aldilà delle scelte su come affrontare il parto, diventare genitori oggi è una grande sfida. “Dalla nascita, fino al raggiungimento della maturità affettiva del figlio, ci troviamo spesso a gestire i suoi stati d’animo e le situazioni nuove, senza un’adeguata preparazione”.

 

LA RICERCA ATTUALE E IL RICONOSCIMENTO DEGLI AUTENTICI BISOGNI DEL BAMBINO

 

 

Diventare madri oggi è difficile, tutti pensano di poter insegnare a fare i genitori proponendo spesso visioni errate, ormai disconfermate dalla ricerca, in cui i bambini vanno addomesticati e devono adattarsi ai nostri ritmi anziché noi ai loro.
Troppo spesso la madre è subissata da pareri non richiesti, per quanto tempo tiene in braccio il bambino, quante volte lo attacca al seno, che la portano a vivere un senso di colpa e di frustrazione.

Il riconoscimento di quelli che sono gli autentici bisogni del bambino è il primo passo per strutturare un legame sano e per rafforzare un’immagine materna positiva.  

Il bambino ha bisogno di contatto e di contenimento.  Lo stare in braccio lo aiuterà a crescere serenamente, percepire i propri limiti fisici e a soddisfare l’innato bisogno di protezione, cosi come facevano le pareti uterine prima della nascita.

 

La ricerca di un contatto fisico e relazionale con chi ci è vicino, è un bisogno innato avvertito da tutti i cuccioli. L’attaccamento è quel legame primario tra il bambino e i suoi genitori che permette di costruire una immagine di sé e di strutturare poi le future relazioni con gli altri.

Un neonato non piange per manipolare gli adulti, ma solo per comunicare disagi o bisogni e richiamare l’attenzione di chi lo accudisce.

Il contatto pelle a pelle gli dà benessere, favorendo la sua autoregolazione e riducendo i suoi pianti e la sua irritabilità e fa bene alla madre in quanto stimola la sua sensibilità materna.

Per questo il ruolo emotivo e affettivo giocato durante i 9 mesi è fondamentale. Alla nascita il bisogno principale è proprio quello di contatto mamma bambino di tipo fisico; partendo da esso si ha poi una chiave di lettura su tutti gli altri bisogni.

In questo momento pratiche come quella dell’ “accudimento ad alto contatto” si stanno diffondendo.

 

 

L’alto contatto è una modalità di accudimento naturale che l’industrializzazione ha recentemente provato a sostituire con vari surrogati e con risultati allarmanti, quantomeno in termini psicologici. 
Per fare alcuni esempi, una nascita il più possibile secondo natura prevede un ambiente protetto e la possibilità di stare pelle a pelle con il neonato fin da subito. 
Le risposte di accudimento ad alto contatto si presume siano in tempi brevi e basate sul contatto fisico, così come basata sul contatto fisico è l’interazione nei primi mesi di vita. 
L’allattamento da prediligere è indubbiamente quello al seno, fatte salve le condizioni fisiche e psicologiche che lo consentano senza eccessivo stress, in cui saremo noi ad adeguarci agli orari del bambino, preferendo l’allattamento a richiesta. 
Un accudimento ad alto contatto prevede poi la scelta di supporti per il trasporto del piccolo che lo mantengano il più possibile in contatto con il corpo della madre per esempio le fasce, utilizzabili fin dalla nascita, o  altri supporti ergonomici, utilizzabili dopo qualche mese. Altro punto riguarda il sonno. La natura non avrebbe mai previsto che un esserino, che non sa muoversi né difendersi in alcun modo, potesse dormirsene da solo chiuso in una stanza. Quindi il cervello dei nostri piccoli è programmato per sentirsi al sicuro a contatto con il corpo di chi se ne prende cura, di conseguenza è del tutto normale che il sonno (che è a cicli molto più rapidi, quindi subisce molti più risvegli di quanti ne subisca un adulto) debba essere confortato dalla presenza fisica di un genitore e quanto più saremo disponibili e tempestivi nel rispondere, tanto prima questo bisogno sarà appagato.
benefici nell’immediato riguardano prevalentemente la quantità e la qualità del sonno, meno pianti e la minore insorgenza di coliche: più il bambino sarà tranquillo e consolabile, più la mamma acquisterà fiducia in se stessa instaurando un circolo virtuoso fondamentale. 


Ma i benefici più importanti sono quelli a lungo termine, riscontrabili in età adulta, quali, ad esempio, la correlazione tra accudimento ad alto contatto e lo sviluppo di un migliore sistema immunitario. 
Dal punto di vista psicologico, inoltre, un accudimento ad alto contatto insegna al neonato che l’ambiente in cui lui sta crescendo è idoneo ai suoi bisogni, che lui li esprime in un modo adeguato per essere compreso e che la relazione con i suoi genitori è degna di fiducia.
Tutto ciò predispone all’equilibrio e alla capacità di instaurare relazioni sane in età adulta.

A questo riguardo sono fondamentali gli studi di John Bowlby che riteneva che l’attaccamento possa essere di tipo sicuro, quando il bambino sente di avere dalla figura di riferimento protezione, senso di sicurezza, affetto; di tipo insicuro quando, nel rapporto con la figura di attaccamento, prevalgono instabilità, eccessiva prudenza, eccessiva dipendenza, paura dell’abbandono.

Il concetto di base sicura è stato elaborato da John Bowlby nel 1969, osservando il comportamento dei macachi e quello dei bambini nei primi mesi in cui notò la presenza di schemi di comportamento identici. In particolare, verificò come la madre, e la relazione con lei, fornisce al bambino la base sicura dalla quale può allontanarsi per esplorare il mondo e farvi ritorno. Quando il bambino avverte qualche minaccia da parte del mondo esterno, cessa l’esplorazione per raggiungere prontamente la madre per poter ricevere conforto e sicurezza.

Lo stile di attaccamento che un bambino svilupperà dalla nascita in poi dipende in grande misura dal modo in cui i genitori, o altre figure parentali, interagiscono e da cui si svilupperà uno dei seguenti stili di attaccamento:

  • Stile Sicuro: il bambino si fida e si affida al supporto della figura di attaccamento, sia in condizioni normali sia di pericolo. In questo modo, il bambino si sente libero di poter esplorare il mondo. Tale stile è determinato dalla presenza di una figura sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a concedergli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede.

I tratti che caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri. L’emozione predominante è la gioia.

  • Stile Insicuro Evitante: questo stile è caratterizzato dalla convinzione del bambino che, alla richiesta d’aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza il sostegno degli altri, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé. Questo stile deriva da una figura di attaccamento che respinge costantemente il figlio ogni volta che le si avvicina per la ricerca di conforto o protezione. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amato, percezione del distacco come “prevedibile”, tendenza all’evitamento della relazione per convinzione del rifiuto, apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto. Le emozioni predominanti sono tristezza e dolore.

 

  • Stile Insicuro Ansioso Ambivalente: il bambino non ha la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta d’aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è esitante, ansiosa e il bambino sperimenta alla separazione angoscia. Questo stile è promosso da una figura d’attaccamento che è disponibile in alcune occasioni ma non in altre e da frequenti separazioni, se non addirittura da minacce di abbandono, usate come mezzo coercitivo. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amabile, incapacità di sopportare distacchi prolungati, ansia di abbandono, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle capacità degli altri.

 

  • Stile Disorientato/Disorganizzato: il bambino si mostra disorientato/disorganizzato, ovvero manifesta ansia, pianto, si butta sul pavimento o porta le mani alla bocca con le spalle curve, gira in tondo, manifesta comportamenti stereotipati, e assume espressioni simili alla trance in risposta alla separazione dalla figura di attaccamento. Sono anche da considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo.

 

Tutti i bambini sviluppano entro i primi 8 mesi di vita uno stile di attaccamento, che si completa entro il loro secondo anno. L’indicatore per eccellenza che il legame di attaccamento è stabilito, si identifica nell’angoscia da separazione. La separazione precoce dalla figura di riferimento, evento traumatico per un bambino, può avere diverse ripercussioni sulla vita dell’individuo a seconda della durata e del periodo in cui si verifica.

La separazione dalla figura di riferimento si snoda, secondo John Bowlby, in tre momenti: la protesta per la separazione, la disperazione dovuta all’assenza della figura e il distacco finale. La separazione può risultare meno dolorosa se vi sono alcune circostanze favorevoli come la presenza di figure sostitutive o di un ambiente accogliente.

 

Per John Bowlby è importante che il legame di attaccamento evolva in maniera adeguata, poiché da questo deriva un buon sviluppo della persona. Se si manifestassero in età adulta stati di angoscia e depressione, è possibile possano derivare da periodi in cui la persona ha fatto esperienza infantile di angoscia e distacco dalla figura di riferimento. Quindi, il modello di attaccamento dei primi anni di vita con la figura di riferimento, influenzerà la relazione con la stessa anche durante l’infanzia. Successivamente, diventerà un aspetto su cui si fonda l’assetto personologico adulto e influenzerà le relazioni e i rapporti futuri.

 Daniela Temponi Brunetta Del Po

 

BIBLIOGRAFIA

“La Cucina etica per mamma e bambino” di E. Barbero e A. Sagone

“Smettila di  reprimere tuo figlio” di Roberta Cavallo

“La teoria dell’attaccamento Jhon Bowlby e la sua scuola” di Jeremy Holmes

SITOGRAFIA

http://web.tiscali.it/liceorecanati-wolit/bambini/testi/storia.htm

https://retezerosei.savethechildren.it/approfondimenti/diritto-relazione/il-primo-sguardo-la-relazione-genitoriale-sin-dai-primi-istanti-di-vita-del-bambino/

https://www.welovemoms.net/accudimento-ad-alto-contatto-cose-e-perche-e-importante/

https://www.lasottilelinearosa.com/contatto-mamma-bambino/