“L’HANNO DETTO IN TELEVISIONE” : la morte del pensiero critico
“Mentre un tempo avremmo potuto pensare al sistema dei media
come ad un garante della libertà e del processo democratico,
oggi dobbiamo riconoscere che le stesse libertà richieste dai media,
stanno per essere distrutte da quegli stessi media
nella loro piena evoluzione e maturità (Silverstone 2002).”
“L’HANNO DETTO IN TELEVISIONE” : una delle affermazioni più pericolose che circolano in questi ultimi tempi. Una frase che inchioda ad una presunta impossibilità di ribattere, di innescare un contradditorio sano e costruttivo, perché solitamente chi la proferisce lo fa con l’idea che la scatola magica possa emanare esclusivamente verità, senza porsi nessun dubbio. Se la TV delle origini, la Paleo televisione di Umberto Eco, si limitava a proporre tre filoni fondamentali: istruzione, educazione e divertimento, l’attuale Neo televisione offre un unico genere, un misto tra informazione e divertimento. L’aspetto più pregnante di questo passaggio, è che la televisione da strumento di informazione su una realtà che esiste autonomamente, diventa fonte di realtà, parla solo di se stessa. Con questa connotazione, uomini di scienza, cultura, fede e politici, perdono la loro identità diventando “personaggi televisivi” svuotati delle loro qualità essenziali.
Le risorse economiche fondamentali che fanno sopravvivere le reti televisive provengono soprattutto dalle pubblicità e questo ha cambiato il rapporto televisione-spettatore; lo spettatore, anziché fruitore di informazioni, è considerato esclusivamente come consumatore.
Purtroppo possiamo constatare come questa modalità di trasmettere notizie, attiva da molti anni, negli ultimi tempi abbia subito un’impennata, determinando un aggravarsi dell’atteggiamento di credulità degli spettatori. Uno dei motivi potrebbe essere l’utilizzo spesso indiscriminato di tecniche di manipolazione di massa da parte dei media ma un altro, non di secondaria importanza, potrebbe essere correlato alla perdita della capacità di discernimento e di pensiero critico degli utenti.
Nel secolo scorso nelle scuole superiori si dava spazio e si riteneva fondamentale il confronto tra diverse concezioni del mondo per poi trarne una visione originale e soggettiva: noi per esempio studiavamo storia oltre che sugli appunti della lezione, anche su testi ideologicamente contrapposti, per poter arrivare a formulare una opinione personale degli eventi, inoltre eravamo invitate a leggere varie testate giornalistiche per confrontarle e maturare così una nostra idea. Ci sollecitavano a porci domande su ogni aspetto della realtà che veniva proposto per assecondare lo sviluppo di un pensiero critico, atto a impedirci di credere in qualsiasi cosa venisse propinata.
“…come si fa a capire cosa sia giusto e cosa sbagliato? Secondo quali parametri noi “giudichiamo” il sistema nel quale viviamo e siamo immersi? La risposta è tanto banale quanto sconcertante per le implicazione che ha. Si giudica il sistema e il mondo che ci circonda utilizzando i parametri e gli strumenti che lo stesso sistema ci ha fornito. Esso diviene così non soltanto la domanda e la risposta, ma anche il procedimento di valutazione. “
Quando la nostra lettura del mondo è veicolata dai mass media, perché più meno volontariamente ci sovraesponiamo alla loro influenza, interiorizziamo un visione monocola della realtà, tanto più potente quanto minore è l’espansione della nostra capacità critica. In questo modo i gusti, le opinioni, i desideri, le richieste di beni tenderanno ad essere omologati dall’uniformità dei messaggi mediatici a livello globale, privandoci così della possibilità di ascoltare quali siano realmente i nostri bisogni, ormai pilotati dall’esterno. Di questo pilotaggio ne risente anche l’aspetto ricreativo, sempre più necessario all’uomo contemporaneo, che risulta indotto dall’industria culturale e dal mondo mass mediatico. Il sistema di svago imposto, sopprime la creatività del pensiero guidandolo su percorsi in qualche misura già tracciati. Pensare in maniera critica stanca. Ma non solo. Esso risulta essere improduttivo e l’improduttività è oggi un peccato veniale.
Combattere la pigrizia cognitiva, che atrofizza le capacità critiche e che contraddistingue l’essere umano moderno, permette di allenare e potenziare quelle doti di pensiero che dovrebbero essere fondamentali per lo sviluppo di una libera coscienza. L’interrogarci su quali strumenti stiamo usando per decifrare ed elaborare ciò che proviene dal mondo mediatico, il ricorrere a fonti alternative non ufficiali di informazione, potrebbero essere un valido espediente per tutelare sia la capacità che l’autonomia di pensiero, seriamente ostacolate dall’impoverimento culturale dei messaggi pubblicitari e da una visione ristretta, stereotipata della vita.
«Nel linguaggio delle istituzioni un bambino ascolta e percepisce un’unica visione del mondo. Tutti i media non fanno che esprimere e confermare un solo, grande comune denominatore che investe la formazione dell’opinione e il gusto». Goodman (1995)
L’atrofizzazione cognitiva trova il suo compimento oltre che nei media e nella famiglia, in cui i crescenti ritmi di lavoro portano ad una riduzione sia in termini di tempo che di importanza del suo ruolo nella formazione culturale dei figli, anche nelle istituzioni educative che indirizzandosi sempre più verso la tecnica e la professionalizzazione trascurano quello che dovrebbe essere il primario obiettivo educativo: insegnare a pensare.
“C’era una volta la TV che mostrava e il giornale che spiegava. Oggi è la TV che cerca di spiegare la notizia trasformandola in un evento mediatico. Il motivo? La gente vuole storie, non fatti.
In questo contesto si inseriscono dunque molte figure di giornalisti: coloro che dovrebbero in primis fare un’informazione seria e libera, finalizzata alla ricerca della verità, per rispondere al sistema che si è venuto a creare, propongono al contrario un giornalismo fatto di sensazionalismo, basato più sull’apparenza che sulla sostanza, spesso veicolato in modo “spettacolare”, per unire l’esigenza del consumatore che vuole anche divertirsi…, che vuole consumare molto e in fretta. Spesso bastano titoli “sensazionalistici”, che non sempre corrispondono a quanto veramente accaduto, ma sono solo specchietto per le allodole!!! Si moltiplicano trasmissioni e dibattiti in cui il giornalista diventa a tutti gli effetti lo “showman”, ed è soprattutto questa sua capacità di intrattenere lo spettatore che lo fa diventare bravo o meno come giornalista…”
Ma cosa significa allora fare un buon Giornalismo? Tenere vive le coscienze attraverso l’esercizio del pensiero, offrire nutrimento culturale ricorrendo alla capacità critica, che permette di distinguere ciò che è volatile e inutile da ciò che realmente può arricchire le menti, divulgare con giudizio una notizia di interesse pubblico, atta a garantire l’esercizio della sovranità consapevole sancita dall’Art. 1 della Costituzione italiana:
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione,
evitando di assecondare la morbosità del privato, attenersi al concetto di essenzialità dell’informazione introdotto dal codice deontologico dei giornalisti, dovrebbero essere le connotazioni di un serio professionista anche se è pur vero che è sempre più difficile svolgere correttamente il proprio lavoro, in un momento in cui l’oggettività della notizia ha lasciato spazio al sensazionalismo mediatico, ai salotti televisivi trasformando l’informazione in show e gli show in messaggi informativi.
Come può essere imparziale la narrativa di un giornalista se quanto racconta è influenzato dalle sue emozioni, dalla sua formazione culturale, dalle sue esperienze e spesso dal volere dei poteri politici, finanziari ed economici?
“Diceva Oriana Fallaci però che -la Storia si scrive sulla verità e non sulle leggende-, pertanto, un giornalista che intenda svolgere con senso morale e critico la sua attività dovrebbe prima di tutto dissentire, disobbedire, essere rivoluzionario. Per dirla col filosofo americano Thoreau, -bisogna essere prima uomini e solo dopo cittadini membri dello Stato, con il diritto di rifiutare l’obbedienza quando contrasta con ciò che la coscienza rifiuta-.”
Brunetta Del Po – Daniela Temponi
SITOGRAFIA
https://mragnedda.files.wordpress.com/2008/03/eclissi-o-tramonto-del-pensiero-critico.pdf
https://www.lavocedinewyork.com/news/first-amendment/2019/12/18/una-nessuna-e-centomila-news-il-ruolo-del-giornalista-nella-bulimia-dellinformazione/