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Piccolo vademecum sulla paura

Qualsiasi oggetto, evento o persona può essere vissuto come pericoloso. Nessuna paura è stupida. E’ la nostra storia personale che ci porta ad avere paura di certe cose piuttosto che di altre.

Quando ci spaventiamo avvengono nel nostro corpo delle modificazioni fisiologiche. In particolare, in una situazione di paura acuta si ha l’attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico, la quale comporta l’abbassamento della pressione arteriosa e della temperatura corporea, la diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, sudorazione e dilatazione della pupilla. Tutte queste modificazioni servono per preparare il corpo alla reazione di attacco-fuga.

La paura cronica, che possiamo chiamare anche ‘ansia’, è uno stato fisiologico che comporta l’attivazione del sistema nervoso simpatico la quale, a sua volta, provoca la comparsa di tensione muscolare, l’aumento della pressione, del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, l’accelerazione dell’ideazione e dei processi di memorizzazione e l’aumento dell’attività sensoriale. Si ha praticamente un’esasperazione dello stato di allerta e dei meccanismi di attacco-fuga.

La paura acuta ha una funzione positiva ed adattiva in quanto segnala che c’è un pericolo. Se ci pensiamo bene, prima di un esame o di un’interrogazione importante bisogna essere ‘abbastanza svegli’, cioè non è utile essere troppo rilassati perché questo porta ad una prestazione cattiva o mediocre. Se però la paura persiste anche in assenza del pericolo ed è molto intensa, si cominciano ad avere delle conseguenze negative perché può essere alleviata soltanto con meccanismi di evitamento e fuga, i quali a lungo andare portano ad un restringimento del campo d’azione della persona. Per esempio la paura di parlare in pubblico porta ad evitare tutte le situazioni in cui è necessario parlare in pubblico. Evitare tali situazioni fa sentire più sicuri e garantisce un controllo dell’ansia, tuttavia il rovescio della medaglia è che si cominciano a perdere della occasioni; occasioni di socializzazione, di mostrare il proprio valore, o semplicemente di utilizzare uno dei propri talenti… A lungo andare la persona comincia a sentirsi frustrata e poco autoefficace (l’autoefficacia è un concetto psicologico che si riferisce al fatto di sentirsi in grado di agire con successo sull’ambiente). Nella mente cominciano a formarsi delle immagini terrificanti rispetto a ciò da cui si fugge, inoltre si sviluppa un pensiero poco realistico caratterizzato da fenomeni cognitivi quali l’astrazione selettiva (“ho letto malissimo, ho fatto un sacco di errori”, è vero gli errori c’erano ma il testo era complesso ), la catastrofizzazione (“se non riesco a parlare stavolta non ci riuscirò mai più”), il perfezionismo ( “non leggerò mai più a meno di non essere sicuro di farlo in modo perfetto”), l’inferenza arbitraria (“il professore non mi ha chiesto di leggere, probabilmente pensa che io non sia capace quindi è meglio che non mi offra"), personalizzazione (“non ho detto la mia opinione così è stata presa una decisione che non mi piace, è tutta colpa mia…”, peccato che c’erano altre 50 persone che avrebbero dovuto esprimere la propria opinione). Questo tipo di pensieri creano spesso quel fenomeno che viene definito come la ‘profezia che si autoavvera’: quella che inizialmente è soltanto un’idea che io ho di me stesso viene confermata dal mio comportamento e induce gli altri a vedermi nello stesso modo e a reagire di conseguenza; se infatti ho paura di parlare e non lo faccio mai, gli altri penseranno che non sono capace o che mi dà fastidio, quindi non me lo chiederanno. E’ un circolo vizioso che si autoperpetua.

Ma come mai è così difficile convincersi con la ragione che di certe cose non dobbiamo avere paura?
Partiamo dal principio. Nel cervello vi sono molte aree e nuclei, ognuno dei quali presiede ad una propria particolare funzione (movimento, linguaggio, equilibrio, percezione). La corteccia cerebrale per esempio è deputata alla formazione del pensiero e ai meccanismi cognitivi superiori. Il nucleo che è responsabile della coloritura emotiva degli stimoli che percepiamo attraverso i sensi si chiama amigdala; esso è un nucleo molto antico del cervello, la corteccia si è sviluppata successivamente durante l’evoluzione. Proprio in virtù di questo fatto, Le informazioni uditive, visive e olfattive delle esperienze che viviamo arrivano all’amigdala prima che alla corteccia, qui vengono confrontate con le informazioni appartenenti alle esperienze passate e se queste erano associate ad emozioni di paura, verrà attivato lo stato di all’erta e la reazione di attacco-fuga. Le interazioni della prima infanzia sono molto importanti perché le emozioni da esse scaturite sono state archiviate nell’amigdala in un tempo in cui mancava la parola. Ecco perché anche da grandi, per certi scoppi emozionali, non abbiamo parole…

I meccanismi di difesa sono meccanismi che agiscono fuori dalla consapevolezza e che si innescano quando una persona sperimenta delle pulsioni troppo intense che percepisce come pericolose. C’è per esempio un meccanismo di difesa che è chiamato ‘formazione reattiva’ che mettiamo in atto quando sostituiamo un sentimento per noi inaccettabile con il suo opposto e ci comportiamo di conseguenza; un esempio è quando prendiamo una cotta per qualcuno che in realtà ci sembra uno sfigato e così magari lo svalutiamo o fingiamo che non ci interessi. Quando abbiamo paura di qualcosa può capitare che ci buttiamo nella situazione senza prendere alcuna precauzione. L’identificazione proiettiva è un altro meccanismo di difesa che attribuisce ad un’altra persona degli impulsi o sentimenti che in realtà siamo noi a provare. Così, se non riusciamo ad accettare di avere paura in una determinata situazione possiamo dire che è chi sta accanto a noi ad avere paura. I meccanismi di difesa sono una parte importante della vita psichica e hanno una funzione positiva di protezione, diventano negativi se diventano l’unico modo con cui si interagisce con la realtà.

Alcuni consigli pratici

• Parlare delle proprie paure aiuta ad esorcizzarle

• E’ importante sempre cercare di capire il perché di certe paure, trovare la radice ci fa sentire più competenti e un po’ più coraggiosi.

• Durante l’adolescenza la paura è un sentimento che si prova frequentemente perché è la fase in cui bisogna sostituire i modelli rappresentati dalle figure genitoriali con degli altri modelli più funzionali alla nostra personalità.


Per concludere in modo un po’ filosofico, propongo lo stralcio dal libro “Il gabbiano Jonathan Livingston”. Si parla di un gabbiano che ha il sogno di imparare a volare.

“… Ma il gabbiano Jonathan Livingston – che faccia tosta, eccolo là che ci riprova ancora, tende e torce le ali per aumentarne la superficie, vibra tutto nello sforzo e patapunf stalla di nuovo – no, non era un uccello come tanti.
La maggior parte dei gabbiani non si danno la pena di apprendere, del volo, altro che le nozioni elementari: gli basta arrivare alla costa e a dov’è il cibo e poi tornare a casa. Per la maggior parte dei gabbiani, volare non conta, conta mangiare. A quel gabbiano lì invece non contava tanto procurarsi il cibo, quanto volare. Più d’ogni altra cosa al mondo, a Jonathan Livingston piaceva librarsi nel cielo.
Ma a sue spese scoprì che a pensarla a quel modo, non è facile poi trovare amici, fra gli uccelli. E anche i suoi genitori erano afflitti a vederlo così: che passava giornate intere tutto solo, dietro ai suoi esperimenti, quei suoi voli planati a bassa quota, provando e riprovando. (…) “Ma perché, John, perché?” gli domandò sua madre, “perché non devi essere un gabbiano come gli altri? Ci vuole tanto poco! Ma perché non lo lasci ai pellicani il volo radente? Agli albatri? E perché non mangi niente? Figlio mio, sei ridotto penne e ossa!”. “non m’importa se sono penne e ossa, mamma. A me importa soltanto imparare che cosa si può fare su per aria, e cosa no, ecco tutto. A me preme soltanto di sapere.”
“Sta un po’ a sentire, Jonathan” gli disse suo padre, con le buone. “manca poco all’inverno. E le barche saranno pochine, e i pesci nuoteranno più profondi, sotto il pelo dell’acqua. Se proprio vuoi studiare, studi la pappatoria e il modo di procurartela! Sta faccenda del volo è bella e buona ma mica puoi sfamarti con una planata, dico bene? Non scordarti figliuolo, che si vola per mangiare!”.
Jonathan assentì obbediente. Nei giorni successivi cercò quindi di comportarsi come gli altri gabbiani. Ci si mise di buona volontà. E gettando strida, giostrava, torneava anche lui con lo stormo intorno ai moli, intorno ai pescherecci, tuffandosi a gara per acchiappare un pezzo di pane, un pesciolino, qualche avanzo. Ma ad un certo punto non ne potè più. Tutto questo non ha senso, si disse: e lasciò cadere, apposta, un’acciuga duramente conquistata, se la pappasse quel vecchio gabbiano affamato che lo seguiva. Qui perdo tempo, quando potrei impiegarlo invece ad esercitarmi! Ci sono tante cose da imparare!
Non andò molto infatti, che Jonathan piantò lo Stormo e torno solo sull’alto mare a esercitarsi, affamato e felice. Adesso studiava velocità e, in capo ad una settimana di allenamenti, ne sapeva di più, su questa materia, del più veloce gabbiano che c’era al mondo."

E’ un vero e proprio invito a sfidare le proprie paure…!

Dott. Elena Cimarosti