• '
    '

Le difficoltà di apprendimento: istruzioni per l’uso

Cosa possiamo fare noi genitori se ci accorgiamo che nostro figlio ha un’evidente difficoltà a scuola, che si sforza ma non ottiene risultati (magari soffrendo molto per tutto ciò)?

Spesso capita che il proprio figlio non abbia voglia di studiare. Se si tratta di un bimbo che frequenta le elementari magari si nota che fa di tutto pur di non mettersi a fare i compiti o quando li fa è molto sbrigativo e poco accurato. Magari si comincia a pensare che “non sia portato per lo studio” oppure che la maestra ce l’abbia con lui.

Se si tratta di un ragazzo più grande, che frequenta le scuole superiori, si pensa che sia “un fannullone”.

Tutti questi pensieri possono esserci, tuttavia, come genitori abbiamo anche il compito di farci alcune domande.

Innanzitutto dobbiamo chiederci quanto amore per lo studio siamo riusciti a trasmettergli. Se noi stessi eravamo svogliati ad andare a scuola, forse il nostro esempio non lo aiuta ad appassionarsi ai libri e quindi dobbiamo tenerne conto per non essere troppo pretenziosi nei suoi riguardi. Di solito, infatti, l'esempio concreto ha più peso delle parole quindi se diciamo una cosa e ne facciamo un'altra, nostro figlio darà più credito alle nostre azioni.

Se pensiamo invece di essere per lui un modello positivo rispetto all'istruzione e alla cultura, forse la ragione della mancanza di volontà nello studio risiede in una nostra scarsa autorevolezza. Può essere che lui non abbia tanta voglia e noi non abbiamo la capacità di pretendere che si impegni, per varie ragioni: perchè lavoriamo tutto il giorno e quando torniamo non vogliamo rovinarci la serata litigando, o magari ci sentiamo in colpa proprio perchè lavorando ci sembra di non riuscire a seguire i nostri ragazzi come vorremmo.
La soluzione in questo senso sarebbe un nostro sforzo per essere più risoluti nei confronti di nostro figlio, avendo bene in mente che "i no aiutano a crescere".
Relativamente all'autorevolezza è importantissimo anche l'accordo tra i due genitori: se non siamo d'accordo col nostro partner rispetto alla linea educativa (e quindi agli eventuali "no"), molto probabilmente nostro figlio lo coglierà e farà leva su quella che tra le due figure è meno autorevole. Una decisione condivisa tra i genitori ha più probabilità di essere presa in considerazione seriamente da un figlio.

Un'altra questione è se invece nostro figlio ha una difficoltà nell'apprendimento.
Si possono avere difficoltà di apprendimento per varie ragioni. Se un bambino ha un quoziente intellettivo non nella norma è probabile che a scuola faccia fatica (più il quoziente è basso più le difficoltà aumentano). Il Ritardo Mentale viene diagnosticato con appositi test ed è una situazione per cui viene riconosciuta la necessità di fornire facilitazioni e aiuti in campo scolastico (infatti di solito viene assegnato un insegnante di sostegno). In questo caso nostro figlio può non capire le consegne dei compiti, oppure, pur leggendo scorrevolmente, non comprendere che cosa chieda un problema.

Altri bambini invece hanno un quoziente intellettivo nella norma ma hanno comunque delle difficoltà a scuola, nella lettura, nella scrittura o nel calcolo. Alcune volte le maestre dicono che sono bambini ben educati, che fanno quel che si dice loro, proprio per questo restano stupite quando a scuola ottengono prestazioni basse. Altre volte sono bambini raccontati come “scalmanati”, che faticano a stare attenti, e le loro scarse prestazioni vengono attribuite al loro carattere, al loro temperamento.

Cosa possiamo fare noi genitori se ci accorgiamo che nostro figlio ha un’evidente difficoltà a scuola, che si sforza ma non ottiene risultati (magari soffrendo molto per tutto ciò)?

Il primo passo è sicuramente chiedere riscontro agli insegnanti. Essi hanno una loro visione della situazione e talvolta con il loro parere soltanto possiamo avere la conferma ad un’ipotesi che già avevamo fatto. Il loro punto di vista di solito è più obiettivo del nostro perché non c’è lo stesso coinvolgimento affettivo. Magari essi hanno già chiesto un parere allo psicologo della scuola e ce lo possono riferire.
Ovviamente gli insegnanti hanno anch’essi i loro pregiudizi quindi è bene chiedere la loro opinione ma non considerarla per forza “oro colato”.

Se l’insegnante ha notato in vostro figlio il medesimo quadro, ovvero che si sforza molto ma ottiene poco, molto probabilmente vi inviterà a contattare – tramite il pediatra - il Servizio di Neuropsichiatria locale. Qui lavora il personale competente per fare gli accertamenti necessari relativi agli apprendimenti ovvero il neuropsichiatra, lo psicologo, il logopedista. Alcune volte i tempi di attesa sono lunghi quindi possiamo anche pensare a contattare un centro privato. La diagnosi solitamente è tanto accurata quanto quella del servizio pubblico, d’altra parte quest’ultima gode di maggior prestigio rispetto ad una rilasciata da un centro privato (poi dipende dalla zona in cui si abita, in certe regioni d’Italia ci sono professionisti convenzionati la cui diagnosi viene presa in considerazione alla stregua di quelle del servizio pubblico).

Ciascun ambito – la lettura, la scrittura e il calcolo - viene valutato con appositi test e se i risultati confermano le difficoltà a questi bambini può essere diagnosticato un Disturbo Specifico di Apprendimento.

Ovviamente, come genitori, non è facile accettare che il proprio figlio abbia un disturbo di questo tipo, in parte perché per i nostri figli vorremmo meno problemi possibile, in parte perchè ci sentiamo feriti nell’orgoglio.
Tuttavia non bisogna disperare. Una volta gli studenti DSA erano meno rintracciabili perché il livello di scolarizzazione era più basso (il disturbo passava inosservato!); oggi, col fatto che si studia mediamente per molta parte della giovinezza, avere un DSA è molto più visibile. Questa è una fortuna perchè se viene individuato tempestivamente la vita diventa più semplice: sebbene non venga assegnato un insegnante di sostegno (perché il quoziente intellettivo è nella norma), per legge vengono permesse misure dispensative e compensative.

Ma cosa sono le misure compensative e dispensative?
Si definiscono misure compensative quegli strumenti (tecnologici e non) che aiutano lo studente DSA nello svolgimento dei propri compiti scolastici. Esempi sono l’utilizzo del computer e della sintesi vocale per ovviare al problema della lettura lenta e scorretta, la tavola pitagorica, le mappe concettuali.
Le misure dispensative invece hanno lo scopo di evitare che il disturbo possa comportare un insuccesso scolastico. Esempi sono la dispensa dalle prove scritte in lingua straniera e dallo studio mnemonico delle tabelline.

Da quando è stata varata la legge 170/10 il diritto all’istruzione per gli studenti DSA è molto più garantito. Questo è un fatto positivo sia per gli studenti stessi e per le loro famiglie che per gli insegnanti. Per gli studenti perché potranno prospettarsi percorsi di studio anche lunghi, senza rinunciare ai propri progetti a causa del disturbo; per gli insegnanti perché se essi hanno infatti in mano una diagnosi potranno cominciare a mettere in atto le misure compensative e dispensative sopra descritte, al contrario non potranno fare nulla per l’alunno in difficoltà perché dovranno trattarlo al pari degli altri.

Bisogna tenere presente tuttavia che se la diagnosi viene fatta quando il bambino è alle scuole elementari (un DSA si può diagnosticare da fine seconda) non è detto che con esercizi appositi non possa imparare in parte ad “autocorreggersi”. Questo vale per esempio per la velocizzazione o scorrettezza di lettura: se il bambino che ha ottenuto risultati deficitari esegue esercizi di lettura ad hoc ogni giorno per alcuni mesi, può essere che riesca a correggere gli errori che compie più frequentemente. Il disturbo rimane ma la prestazione migliora e il bambino guadagna in autostima. Sarà il neuropsichiatra o lo psicologo che ha steso la diagnosi a dare indicazioni rispetto a eventuali esercizi riabilitativi (più la diagnosi è precoce, più ampia è la finestra di intervento).

Possiamo concludere con la consapevolezza che avere un figlio con disturbi dell’apprendimento oggi non è più una situazione invalidante ma può essere fronteggiata con speranza e perché no, con un po’ di ottimismo.

Dott. Elena Cimarosti